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Quel  4 agosto era cominciato molto presto, anzi quasi non c’era stata alcuna soluzione di continuità con il 3:  Damiano era tornato a casa verso le 23,30 del 3, di ritorno dal lavoro in pizzeria a La Pineta, si era fatto la doccia, cambiato, preparato ed era uscito attorno alla mezzanotte; il giorno dopo era lunedì: come sempre di lunedì non avrebbe dovuto lavorare e quindi usciva per andare al mare, all’Isola Rossa, sua meta preferita da un po’ di tempo a quella parte.
Era una notte molto calda, di piena estate, un’estate notevolmente calda; non riuscendo a dormire,  mi ero alzato attorno alle 3 e 30 per bere e farmi venire un po’ di sonno; così ero sveglio quando era ancora ritornato intorno a quell’ora. Doveva prendere un portatile, messo da parte alcuni giorni prima, per portarlo ad un amico che l’aveva comprato. Così gli avevo dato una mano per imballarlo alla bell’e meglio, riponendolo in uno zainetto che si era messo a tracolla.
Mi aveva salutato ed era uscito: era la penultima volta che lo vedevo. Ormai ero abituato a quel suo andirivieni a tutte le ore; specialmente d’estate era più il tempo che stava fuori, sempre intento a fare o organizzare qualcosa con gli amici, lavoro permettendo.
Da un pezzo, da tanto, da quando attorno ai sedici anni aveva deciso di rinunciare alla scuola e mettersi a lavorare, aveva pian piano optato, grazie anche al tipo di lavoro verso cui si era orientato: barista, banconista, pizzaiolo, aveva optato per una vita prevalentemente notturna, anche se non aveva difficoltà ad alzarsi alle 9-10, se aveva qualche impegno, pur essendo andato a dormire da poche ore.
Quando aveva deciso di andare a lavorare all’estero non c’era stato niente da fare: ci aveva chiesto di accompagnarlo a Cagliari per andare in un’agenzia che procurava lavoro all’estero (bastando avere 16 anni compiuti e il consenso dei genitori).
Aveva fatto così una esperienza di lavoro stagionale in Germania prima vicino Stoccarda e poi poco più a nord di Monaco di Baviera, per  4-5 anni da febbraio/marzo a ottobre in gelaterie di artigiani veneti, come aiuto-gelataio/banconista/barista.
L’esperienza all’estero era terminata per desiderio di cambiare e perché era notevolmente impegnativa in termini di fatiche e sacrifici, non da ultimo per il fatto che si era fidanzato a Tempio.
Così aveva cominciato a lavorare più stabilmente a Tempio prima in una pizzeria appena aperta da un Sassarese (pizzeria che aveva furoreggiato per alcuni mesi, proponendo maxipizze molto buone, saporite ed apprezzate).
Poi era passato, dopo un annetto o poco più, al Fagotto in piazza Italia, per approdare dopo un certo tempo a La pineta prima come aiuto e poi come pizzaiolo.
A La Pineta aveva raggiunto la maturità lavorativa, molto apprezzato sia per capacità lavorative che qualità umane impareggiabili.
La mattina del 4 era tornato a casa verso le 9 e 30: mi era sembrato strano perchè solitamente andava al mare e ci rimaneva fino al martedì pomeriggio, quando tornava a casa per fare una doccia e prepararsi per il lavoro; e magari l’avesse fatto anche quella volta; invece no, era tornato a Tempio per portare la moto dal gommista e far cambiare le gomme troppo lisce.
Era rimasto in casa fino a circa le 11:10, bazzicando su Internet, in attesa di ritirare la moto con le gomme nuove.
Attorno a quell’ora aveva chiesto alla madre di accompagnarlo in macchina dal gommista, in viale don Sturzo, e quella era stata l’ultima volta che lo avevo visto e salutato…

Alle 11:55 di quel 4 agosto 2008, ricordo perfettamente l'ora perchè istintivamente guardai l'orologio, eravamo in casa, io Lele e Franca, quando squillò il telefono... Ecco, così, ancora non sapevamo, cominciava un periodo nuovo con molte cose che sarebbero cambiate; quella telefonata era l'evento del punto spazio-temporale da cui si dipartiva una nuova linea che mai avrei voluto fosse generata...  Rispose Franca e sentii che diceva: Non è possibile, o Dio no... Immediatamente pensai a Damiano, il cuore cominciò a battermi disordinatamente, in un attimo ci ritrovammo tutti e tre attorno al cordless con Franca che chiedeva chiarimenti all'interlocutore... Era Davide, disse che Damiano aveva avuto un incidente, vicino all'Isola Rossa dove era diretto e dove lo stavano aspettando...  In quel momento lo stavano soccorrendo, c'erano due ambulanze e l'elicottero pronto a partire; a lui non consentivano di avvicinarsi e doveva guardare la scena da lontano: avrebbe richiamato, disse, per tenerci al corrente. Non chiamò più e in seguito fu terribilmente chiaro il perchè.

La prima cosa che facemmo fu di telefonare al 118 per sapere dove lo stavano portando; ma al call center non sapevano niente, dissero di richiamare dopo 5-10 minuti. Una ridda impressionante di pensieri si susseguiva a ritmo forsennato, momenti di sconforto si alternavano ad istanti di speranza; la segreta speranza che ce l'avrebbe fatta aveva bisogno di verifiche, notizie, che invece non c'erano: altre due telefonate al 118 non avevano cambiato niente; Damiano era giovane, forte, vestito di tutto punto con le protezioni necessarie per andare in moto... ce l'avrebbe fatta, in fondo era solo caduto dalla moto, come ci aveva detto Davide, non si era scontrato con nessun autoveicolo. Ci recammo al pronto soccorso dell'ospedale, proprio di fronte a casa, ma neanche lì sapevano niente. Tornammo a casa e ci disponemmo ad attendere notizie, fiduciosi che sarebbero arrivate.

Dopo una ventina di minuti cominciò però ad essere chiaro che non ra affatto così; nonostante ripetute telefonate al 118, ai carabinieri di Tempio e Valledoria, non sapevamo semplicemente niente. Ancora oggi non siamo riusciti a capire se l'apparente disorganizzazione fu voluta perchè nessuno si era assunto la responsabilità di comunicarci il tragico epilogo dell'incidente... ciò è probabile ed umanamente comprensibile; oppure semplicemente i tempi di risposta del sistema erano molto più lunghi. Sempre più in preda all'agitazione, decidemmo che l'unico modo per sbloccare la situazione era andare direttamente all'Isola Rossa e capire cos'era successo e dove avevano portato Damiano: non sapevamo o non volevamo interpretare questa mancanza di notizie.

Usciti da Tempio, subito dopo il bivio per Aggius, pensai di chiamare Rina, la nostra amica di Valledoria, per pregarla di andare alla stazione dei carabinieri a chiedere notizie, dal momento che erano stati loro ad accorrere sul luogo dell'incidente. Rina, messa rapidamente al corrente, mi disse che andava direttamente sul posto, alla Marinedda, e ci avrebbe fatto sapere, visto che sarebbe arrivata molto prima di noi. Era una buona idea. Invece non ci chiamò affatto, visto che implicitamente lei ammetteva come noi che Damiano fosse ancora vivo.

Alla fine raggiungemmo la località del sinistro, senza ancora sapere nulla di preciso... eravamo come in una specie di limbo, una sospensione vitale in cui poche cose avevano senso e la vita che continuava a scorrerci intorno ci appariva distante e priva di significato, come un film che non si fosse potuto vedere dall'inizio.

 

 

Da lontano, saranno stati 100 metri, riconoscemmo il posto per la presenza di 3 o 4 carabinieri sgranati lungo uno spazio di 20-30 metri, e per la moto che si vedeva sul margine destro della carreggiata, stesa all'inizio del guard rail.

Aprii la portiera, scesi dall'auto e mi misi a correre verso il primo carabiniere, con dentro uno straziante senso di vuoto ed angoscia, un blocco di tutte le funzioni mentali, un vuoto che avevo fretta e al contempo paura di colmare: dovevo correre verso il carabiniere e nello stesso tempo speravo che quel lasso di spazio-tempo non avesse mai fine; dovevo correre verso il carabiniere perchè così mi imponeva la realtà dell'accadere, però avrei tanto voluto fermarmi, schioccare le dita e far sparire d'incanto tutto quel maledetto incubo.

I miei occhi, simili a punteruoli, guardavano interrogativamente i suoi, quasi avessero voluto scavarci dentro per estrarre all'istante la verità sull'accaduto; giunto a cinque/sei metri, osservai meglio la sua espressione, una sorta di vuoto indurimento inespressivo, che però a me parve fin troppo eloquente; tirai un pugno a vuoto nell'aria e mi piegai di lato sopraffatto dalla disperazione; poi di sottecchi tornai a guardarlo perchè avevo colto un cambiamento nella sua espressione facciale: in preda all'angoscia e al dubbio, incapace di risolvermi in un  senso o nell'altro, gli chiesi alfine se, insomma, c'era speranza.

Senza cambiare di molto il suo atteggiamento, mi chiese chi fossi; in quel momento non percepii la sua strategia volta a prendere tempo, centellinare e per così dire porgere con cautela la notizia, non potevo farlo, non ero in grado di farlo e quindi il suo comportamento mi sembrò insensato, ingiusto, quasi crudele; comunque, totalmente incapace di avere un qualche tipo di reazione, risposi che ero il padre. A mo' di chiarimento, aggiunse che lo avevano portato a Badesi: a Badesi? Attimi interminabili, pensieri indistinti sfreccianti nella mente incapace di controllo, sopraffatta dal dubbio e dall'angoscia; a che fare? Avrei potuto capire se mi avesse detto che era stato portato a Sassari o a Tempio, ma a Badesi, per fare che: non mi risultava che lì ci fossero ospedali! In quelle frazioni infinitesime di tempo fu proprio quello che pensai. Lo continuavo a guardare dritto negli occhi, quasi come se le parole sarebbero dovute uscire da lì; ma non feci in tempo a finire la domanda, già fatta, se ci fosse speranza, che mi disse: E' morto.

Due parole, solo due parole, ma quanto bastava perchè davvero tutto intorno di colpo diventasse buio, tetro, senza significato; Lele e Franca ci avevano raggiunto, avevano ascoltato e compreso, ci eravamo abbracciati tutti e tre in preda ad un pianto dirotto, irrefrenabile; poi, preso da una smania incontenibile, ero andato a guardare la moto, il guard rail, il punto dell'impatto, da una parte con il desiderio di annientare e far sparire tutto con lo sguardo, annullando magicamente quanto accaduto; dall'altra come se avessi voluto tenere tutto a mente, registrare il più minimo dettaglio, al fine successivamente di ricomporre i vari pezzi per tentare di capire il senso di quanto era accaduto: si lo so, li sento tanti che sorridono benevolmente, o peggio, perchè penso al senso di quanto accaduto; è accaduto, basta... anzi meglio non chiedersi perchè, chissà cosa potresti scoprire.

Mi guardavo intorno, vedevo, attraverso le lacrime, le auto passare, eppure non mi importava assolutamente niente, non avevo alcun ritegno, in quel momento era come se non stessero veramente passando da lì.

 

 


 

Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall'incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinita bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto. Mi è rimasto l'affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l'amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell'amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!

 


Madre, asciuga le tue lacrime, tuo figlio ti guarda!
solleva la tua bella fronte appesantita dal dolore,
un soffio si compiace e si attarda intorno a te:
è la mia anima che cerca di consolare il tuo cuore.

Vengo a far cessare questa terribile menzogna 
della morte che si vuole alleare al nulla.
e benché ai tuoi occhi rimanga invisibile,
proclamo a voce alta: "Madre, sono vivente!"

Madre, ascolta la mia voce, che il tuo dispiacere si plachi,
sono qui al tuo fianco, sono alle tue ginocchia,
accarezzo la tua mano e teneramente bacio
i fili bianchi che vedo nei tuoi capelli così amati.

Madre, non accusare il potere divino
che ti ha ripreso il frutto, l'oggetto del tuo amore,
perché per me, questa morte fu una rinascita,
un grande volo verso il felice soggiorno.

Ho lasciato senza sforzo le mie spoglie umane,
che ancor oggi è per me misterioso segreto;
ho abbandonato il corpo che la sofferenza perquisisce
e la mia anima è partita al gradimento dell'onda divina.

Madre, non ci sono parole, o immagini terrestri,
degne di riprodurre con fedeltà,
il grandioso aspetto delle celesti rive
verso cui, dolcemente, fui come trasportato.

Abbagliato, raggiunsi uno splendido campo
dove regna senza interruzioni una felicità infinita,
ed io assaggio infine questa pace sovrana
riservata agli eletti del regno benedetto.

Veloce e più leggero che la viva rondine,
solco lo spazio ed i suoi campi luminosi
dove il mio sguardo dotato di un'acutezza nuova
scopre con turbamento scorci radiosi.

Mi evolvo liberamente tra le opere divine, 
attraverso gli splendori della creazione
dove la forza di Dio costantemente si sente, si indovina,
e obbliga a vivere in ammirazione.

A ciascuno dei miei passi qualche sole si alza 
su dei mondi nuovi e delle umanità;
supero torrenti, montagne di sogno,
magiche foreste, fiumi lietissimi.

Erro e, talvolta, canterello nelle fresche valli
dove cadono a cascata acque del cristallo più puro,
ed io vedo formarsi delle auguste assemblee
di esseri abbaglianti di biancore e di azzurro.

Ubriacato, percepisco delle arcane armonie
che prendono talvolta un gigantesco sviluppo,
ascolto con fervore delle dolci melodie,
degli aerei concerti cantati dalle voci d'oro.

La fronte del tuo bambino ogni giorno si incorona
di rose e di gigli, di meravigliosi fiori,
e l'odoroso mazzo che la mia mano stringe,
l'ho colto per te in questi luoghi incantevoli.

Non voglio più vederti versare lacrime,
ascolta la mia preghiera, ascolta la mia chiamata,
caccia il dubbio terribile, gli orribili allarmi,
Il Signore ha pietà del dispiacere materno.

Prega e sentirai la mia reale presenza,
Dio non divide i cuori uniti dall'amore,
sorridi, madre cara, alla grande speranza,
di ritrovare tuo figlio ben più bello che un giorno.

Non puoi piangere più, poiché mi meraviglio
che mi sia permesso di mostrarti il porto,
il celeste soggiorno dove, vigile, veglio
sui giorni della tua vita e l'istante della tua morte.

Perché, quando suonerà, questa ora magnifica,
mi vedrai in piedi, tale a un angelo vincitore,
e le mie braccia ti faranno uno splendido portico
per entrare con me nell'eterna felicità!